La Suprema Corte di Cassazione, sez. II civile, con la sentenza 9 agosto 2022, n. 24526, ribadisce alcuni principi ormai consolidati in giurisprudenza sulla distinzione tra regolamento condominiale assembleare (contenente clausole regolamentari) e regolamento condominiale contrattuale (contenente clausole propriamente contrattuali), introducendo tuttavia alcune precisazioni destinate ad assumere un particolare impatto sul piano pratico-applicativo.
In via preliminare la Suprema Corte sottolinea come per poter stabilire se un regolamento abbia o meno natura contrattuale, non rilevi tanto la tecnica di formazione del regolamento, quanto piuttosto il suo contenuto.
Il regolamento condominiale assume natura contrattuale solo nel caso in cui contenga clausole che limitino i diritti dei singoli condomini sulle proprietà esclusive o comuni, ovvero attribuiscano ad alcuni condomini maggiori diritti rispetto agli altri.
Qualora, invece, il regolamento condominiale si limiti a disciplinare l’uso dei beni comuni e la ripartizione delle spese in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino, lo stesso assume e mantiene natura assembleare anche nel caso in cui sia stato predisposto dall’originario proprietario/costruttore dell’edificio condominiale (e poi allegato ai successivi atti di acquisto dei singoli appartamenti) o sia stato formato – anche in sede assembleare – con il consenso unanime di tutti i condomini.
In definitiva, è possibile avere: a) regolamenti di origine contrattuale e di natura contrattuale; b) regolamenti di origine contrattuale ma di natura assembleare; c) regolamenti di origine assembleare ma di natura contrattuale; d) regolamenti di origine assembleare e di natura assembleare.
Tale distinzione assume rilevanza pratica laddove si debba procedere alla modifica delle clausole contenute nel regolamento di condominio, in quanto solo per la modifica delle clausole aventi natura contrattuale (qualunque sia stato il procedimento di loro formazione) sarà necessaria l’unanimità dei consensi dei condomini, potendosi invece nei restanti casi procedere alla modifica mediante una semplice deliberazione assembleare adottata con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, II comma, c.c.
Affrontando poi il profilo inerente i requisiti formali delle clausole del regolamento contrattuale, la Suprema Corte, oltre a ribadire un principio ormai consolidato, ovvero quello secondo il quale le stesse devono rivestire la forma scritta, introduce un’ulteriore precisazione evidenziando come non sia sufficiente che tali clausole siano semplicemente richiamate negli atti di acquisto, essendo invece necessario che le stesse vengano riprodotte integralmente all’interno dell’atto di compravendita, pena la nullità della clausola.
L’ultimo profilo esaminato dalla Corte, attiene all’opponibilità ai terzi delle clausole del regolamento contrattuale. Al riguardo la Suprema Corte, dopo aver qualificato tali clausole come servitù prediali reciproche, sottolinea come le stesse siano opponibili ai terzi in quanto trascritte ai sensi dell’art. 2643 n. 4 c.c., precisando tuttavia al riguardo come la nota di trascrizione non debba contenere solo un generico richiamo al regolamento di condominio, occorrendo invece che al suo interno siano riprodotte le singole clausole del regolamento incidenti in senso limitativo sui diritti dei condomini sui beni condominiali o sui beni di proprietà esclusiva.