VIOLAZIONE DELLE DISTANZE TRA COSTRUZIONI E DANNO IN RE IPSA

La violazione della prescrizione sulle distanze tra le costruzioni, attesa la natura del bene giuridico leso, determina un danno in re ipsa, con la conseguenza che non incombe sul danneggiato l’onere di provare la sussistenza e l’entità concreta del pregiudizio patrimoniale al diritto di proprietà, dovendosi di norma presumere, sia pure iuris tantum, tale pregiudizio, fatta salva la possibilità per il preteso danneggiante di dimostrare che, per la peculiarità dei luoghi o dei modi della lesione, il danno debba, invece, essere escluso” (Cass. civ., sez. II, ord., 27 febbraio 2023 n. 5864)

LA CATEGORIA DEL DANNO IN RE IPSA

L’espressione «danno in re ipsa», nella sua accezione originaria, indica l’ipotesi in cui il pregiudizio oggetto della pretesa risarcitoria coincide con la lesione della situazione giuridica protetta dall’ordinamento, identificandosi quindi con il c.d. danno-evento.

Nell’ambito della nozione di danno nel sistema della responsabilità civile, infatti, si è soliti distinguere tra il danno-evento inteso quale elemento costitutivo della fattispecie dell’illecito civile (quello che l’art. 2043 c.c. definisce “danno ingiusto”, retto dalla causalità materiale) e il danno-conseguenza quale parametro di determinazione del contenuto dell’obbligazione risarcitoria gravante sul soggetto al quale è imputabile la responsabilità del danno evento (quello cui si riferisce l’art. 2043 c.c. quando prevede che l’autore dell’illecito è tenuto “a risarcire il danno”, retto dalla causalità giuridica).

L’esistenza dell’obbligazione risarcitoria presuppone quindi l’esistenza tanto del danno-evento quanto del danno-conseguenza. Se manca il primo, non c’è illecito; se manca il secondo non c’è danno risarcibile. Se esiste solo il danno-evento ma non anche il danno conseguenza, sussiste un illecito che tuttavia non fa sorgere alcuna concreta obbligazione risarcitoria non sussistendo alcun danno da risarcire.

Tali principi, che costituiscono la regola generale in materia di responsabilità aquiliana, soffrono una deroga nell’ipotesi (eccezionale) del c.d. danno in re ipsa, nella quale si ricollega il sorgere dell’obbligazione risarcitoria alla mera lesione dell’interesse giuridico protetto dalla norma, quindi al solo danno-evento, prescindendo quindi dall’esistenza/prova anche del danno-conseguenza.

A tale iniziale accezione del danno in re ipsa (che si pone in termini di eccezione rispetto alla regola generale sopra riportata) si è tuttavia affiancata nel tempo una diversa accezione la quale non deroga ma anzi presuppone e cerca di far applicazione dei principi giuridici sopra richiamati in materia danno-evento e danno-conseguenza.

Facciamo riferimento alla diversa accezione del «danno in re ipsa» inteso non più quale ipotesi in cui il danno risarcibile coincide con il danno-evento, bensì quale ipotesi in cui si risarcisce un concreto pregiudizio (danno-conseguenza) distinto dall’evento lesivo in sé considerato (danno-evento), che si presume tuttavia esistente una volta fornita la prova di quest’ultimo.

In altre parole, accertata la lesione dell’interesse giuridicamente protetto (danno-evento) si ritiene provata anche l’esistenza di un conseguente pregiudizio (danno-conseguenza) suscettibile di ristoro, quale danno che normalmente scaturisce dalla lesione stessa (danno presunto iuris tantum) con conseguente inversione dell’onere della prova.

Non è quindi il danneggiato a dover provare l’esistenza del danno-conseguenza (presunto iuris tantum) ma è il danneggiante a dover provare che, nello specifico caso in esame, alla lesione dell’interesse giuridicamente protetto (danno-evento) non è conseguita anche la concreta lesione (danno-conseguenza) suscettibile di risarcimento.

IL DANNO DA VIOLAZIONE DELLE DISTANZE LEGALI TRA COSTRUZIONI

La Cassazione nella pronuncia in esame (Cass. civ., sez. II, ord. 27 febbraio 2023 n. 5864) qualifica il danno causato dalla violazione della prescrizione sulle distanze tra le costruzioni come danno in re ipsa inteso nella seconda accezione sopra richiamata, come si evince dalla precisazione contenuta nell’ordinanza in esame ove si specifica che il pregiudizio subìto dal proprietario è da qualificare come danno-conseguenza e non come danno-evento. Al riguardo infatti la Suprema Corte evidenzia come tale danno sia «l’effetto (certo) dell’abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e quindi della limitazione del relativo godimento che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della medesima». Ciò posto, la sussunzione del danno da violazione delle distanze legali nell’alveo del danno in re ipsa importa che «non incombe sul danneggiato l’onere di provare la sussistenza e l’entità concreta del pregiudizio patrimoniale subìto al diritto di proprietà, dovendosi, di norma, presumere, sia pure iuris tantum, tale pregiudizio, fatta salva la possibilità per il preteso danneggiante di dimostrare che per la peculiarità dei luoghi o dei modi della lesione, il danno debba, invece, essere escluso» (in tal senso, altresì, Cass. 20 dicembre 2021, n. 4085). La Suprema Corte continua rilevando come «la lesione del diritto di proprietà, conseguente all’esercizio abusivo di una servitù di veduta, è in sé produttiva di un danno, il cui accertamento non richiede, pertanto, una specifica attività probatoria». Il giudice nella pronuncia de qua ha ritenuto quindi di poter procedere al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1226 c.c. adottando quale parametro di liquidazione una percentuale sul valore reddituale dell’immobile «la cui fruibilità sia stata temporaneamente ridotta». In particolare, i presupposti fattuali sulla base dei quali sono state individuate, ad opera dei giudici di merito, le ragioni della pretesa risarcitoria sono: i) la gravità delle violazioni accertate, ii) lo stato dei luoghi e le caratteristiche dei fondi confinanti, iii) gli indebiti affacci dei confinanti sul fondo a seguito dell’installazione di «aperture sulla parete del manufatto posto al confine tra le due proprietà, tali da costringere i danneggiati a posizionare una rete metallica dividente una copertura oscurante», iv) il notevole lasso di tempo in cui si è protratto l’illecito.